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  a cura di Orazio Paternò
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A VOLTE RITORNANO: LA DIETA VEGANA

GUERRA IMMOTIVATA ALLA FETTINA

  

 

Mentre le sempreverdi diete iperproteiche hanno incassato e incassano dividendi milionari grazie ad un marketing illusionistico che ha solo generato macelleria salutistica, stiamo assistendo al rigurgito integralista di corazzieri, staffieri e palafrenieri della dieta vegana,  instancabili cannoneggiatori a tempo pieno degli onnivori. Navigando in rete si nota un allargamento del cordone sanitario attorno a quello che è sempre stato uno stile di vita, più che un’alimentazione di stile. Nutrito dalla feroce ostilità alla bistecca o al branzino. Ma anche al latte, alle uova e al formaggio. Insomma, la dieta vegana ha negato tutto ciò che è legato al mondo animale e al loro allevamento in cattività in nome di una devozione assoluta e incondizionata a frutta, verdura e cereali. Ma guai alla fettina. E dato che l’estremismo non conosce frontiere, i vegani danno il meglio di sé nelle loro declinazioni più aberranti:

  • i granivori che mangiano solo cereali
  • i frugivori che mangiano solo frutta
  • i crudisti che mangiano solo verdure crude

 

Da dove prende spunto questa spietata crociata anti-scaloppina? Forse da ricerche inoppugnabili che hanno bocciato tout-court il consumo di prodotti animali perché killer di una esistenza longeva e in salute? No, dato che la scienza, come vedremo, ha sempre detto no al monolitico stile vegano. Compulsando le argomentazioni pro-vegan e salvo qualche maldestro tentativo di spacciare per scienza delle isolate ricerche parascientifiche, vediamo che tutto questo baccagliare trae linfa solo da una corrente ideologica zoocentrica. Scelta legittima, ma di carattere emozionale e non razionale. Nell’ambito delle scelte emozionali è fatica di Sisifo accanirsi sul confronto. Al limite si pagherà personalmente lo scotto dell’imbocco della strada sbagliata. La contestazione al veganesimo sarà sul piano eminentemente scientifico, quello che i vegani tentano di fare proprio propugnando fumisterie illusionistiche pseudo mediche allo scopo di dare dignità a ciò che è solo uno dei tanti pericolosi estremismi emotivi nel panorama delle diete.

 

 

ONNIVORI O VEGANI?

Bresaola o mela? Astice o sedano? Latte di mucca o latte di soia? Come dirimere l’annosa questione usando la bussola della scienza? Cosa dicono le ricerche in merito? Si campa meglio solo mangiando frutta e verdura, o è necessario mangiare di tutto?

 

 

PERCHE’ NO ALLA DIETA VEGANA?

USEREMO TRE TIPI DI APPROCCIO…

 

UN PRIMO APPROCCIO è di carattere medico

 

Cosa dicono le ricerche condivise dalla comunità scientifica in merito consumo esclusivo di vegetali e cereali, abbandonando i prodotti animali? Ecco i risultati…

  

 

Assenza di Vitamina B12 (anemia perniciosa, disturbi del sistema nervoso). La vitamina B12 è assente nel mondo vegetale. Senza carne, pesce, uova e latte sono guai per la salute dei globuli rossi e del sistema nervoso. Inoltre la B12, in unione con un'altra vitamina, l'acido folico, concorre ad abbassare i livelli di omocisteina, aminoacido che, in eccesso (sopra le 10/12 mmol/lt - nei vegani il livello medio è di 14 mmol/lt), sembra legato ad un aumento di infarti, ictus e trombosi venose profonde

   Ridotto apporto di Ferro (biodisponibile solo all’1% nei vegetali, al 10% nei prodotti animali)

     Ridotto apporto di Calcio  e maggior rischio di osteoporosi (EPIC-Oxford study, 2007)

     L’eccesso di acido fitico presente nelle proteine dei cereali e nei vegetali (come la soia) riduce l’assorbimento di zinco, calcio, magnesio e ferro

     L’eccesso di ossalati presenti nei cereali integrali, cavoli, spinaci e rabarbaro inibiscono l’assorbimento di ferro, magnesio, ma soprattutto calcio

   Attenzione all’eccesso di soia, perché riduce l’assorbimento di alcuni minerali, soprattutto lo zinco. Tale problema sovviene nel momento in cui più del 20% delle proteine introdotte vengono dalla soia o suoi derivati.

     Carenza di alcuni aminoacidi e grassi essenziali (tipo omega 3 del pesce). Quanto agli aminoacidi, sappiamo che la lisina (amminoacido limitante) carente nei cereali potrebbe essere compensata da quella dei legumi, mentre la metionina (amminoacido limitante)  carente nei legumi potrebbe essere soddisfatta dai cereali. In teoria. In pratica bisogna fare dei calcoli col bilancino per garantire quel giusto equilibrio tra lisina e metionina. Una fatica che l'assunzione delle proteine animali risparmierebbe. Quanto ai grassi essenziali, in un'alimentazione vegana è vero che l'omega 3 (detto acido alfa-linolenico) è garantito  da noci, oli di soia e mais, ma alcuni studi sollevano dubbi sulla sua conversione in EPA e DHA, acidi grassi fondamentali per la salute. EPA e DHA sono già belli e pronti nel pesce, senza bisogno di passare dall'acido alfa-linolenico.

     L'eccesso di carboidrati per colmare il "buco" delle proteine animali alza il carico glicemico quotidiano e, di conseguenza, il sovrappeso e l’obesità

     Il livello di colesterolo totale dei vegani è basso, ma la frazione buona, l’HdL, non viene modificata da una dieta vegana. L’HdL viene invece elevato dai grassi saturi animali. Inoltre il beneficio viene praticamente annullato dagli alti livelli di omocisteina per una carenza cronica di vit.B12.

     Vegani e cancro al colon e al retto. E' vero che il consumo di carni rosse o di grassi animali, come i formaggi, si lega ad un incremento di questi due tipi di tumore, ma solo se concomitanti ad un sovrappeso. Nei soggetti normopeso il rischio tumorale resta praticamente invariato. Allo stesso modo uno studio condotto dalla Harvard School of Public Health su 350.000 donne ha dimostrato che il rischio di tumore al seno non è tanto correlato ad un basso consumo di vegetali, ma all'obesità. Dunque il consumo di  grassi animali non  alzerebbe il rischio di tumore in assoluto, ma solo se collegato all'obesità per un abuso degli stessi. Succederebbe lo stesso in caso di abuso di carboidrati.

  


VEGETARIANI contro VEGANI

Messa clinicamente al bando la dieta vegana rispetto all’onnivora, cosa ci dice la scienza se mettiamo a confronto chi dice un no secco alle proteine animali (il vegano) con chi segue la via moderata di una dieta che ripugna sempre carne e pesce, ma aperta a uova, latte e latticini (il vegetariano)?

Se la medicina ha riconosciuto i benefici di una dieta vegetariana tra gli adulti (aiuta a prevenire malattie cardiache e tumori, ipertensione e diabete di tipo II), ha messo in guardia dall’imporre una dieta vegetariana carente di proteine animali nel caso dell’alimentazione infantile. Molto più severi i giudizi sulla dieta vegana sia per gli adulti che per i bambini a causa di tutti i rischi enunciati sopra.

Alcune rassegne di studi, tra cui il Journal Am Diet Assoc. (2001), avrebbero dato l’ok per una dieta vegana nei bambini e nella prima infanzia, ma al prezzo di usare integratori e cibi fortificati per supplire alle carenze nutrizionali tipiche dello stile vegano. Ne vale la pena?

Un recente studio pubblicato nel 2010 mette in guardia i bambini sottoposti a dieta vegana per le carenze di vit. D e calcio che possono ostacolare il regolare sviluppo dello scheletro (Pediatr Endocrinol Diabetes Metab, 2010)

 

 

 

Arch. Pediatr., nel novembre del  2009, riporta il caso di un bambino che è stato ricoverato in ospedale a causa di seri problemi quali: mancata crescita, anemia megaloblastica, e ritardo dello sviluppo psicomotorio. Aveva 10 mesi d’età ed era stato esclusivamente allattato al seno dalla madre vegana che presentava sintomi analoghi al figlio.

 

 

DIETA VEGANA NEI BAMBINI

 LA POSIZIONE OMS E UNICEF

 

 

 

Dal documento congiunto sulle linee guida nutrizionali infantili prodotto da OMS e UNICEF:

Le diete vegane (quelle senza fonti di proteine animali e specialmente senza latte) possono avere seri effetti avversi sullo sviluppo degli infanti e dovrebbero essere scoraggiate. Esempi sono le diete macrobiotiche molto restrittive (un regime vegetariano restrittivo unito all'aderenza di alimenti naturali e biologici, specialmente cereali), che comportano un alto rischio di deficienze nutrizionali e sono state associate con carenze di proteine ed energia, rachitismo, ritardi della crescita e ritardo dello sviluppo psicomotorio negli infanti e nei bambini. Tali diete non sono raccomandate durante il periodo di svezzamento”.

   

UN SECONDO APPROCCIO è di carattere paleo-antropologico

  

 
Si sono cercati i punti in comune tra tutte le diete che Homo Sapiens ha adottato nel suo passato e nel suo presente per trarre delle conclusioni oggettive. Si presuppone, in partenza, che se una dieta non avesse funzionato quella popolazione si sarebbe estinta. Partiamo dalle abitudini alimentari dei nostri cugini, gli scimpanzé, che il movimento vegano ha sempre dipinto come vegetariani puri. Falso. Gli scimpanzé hanno un apporto giornaliero del 10-12% di proteine animali. A dispetto della mitologia che li dipinge come animali pacificamente dediti al consumo di frutta e foglie, essi organizzano delle vere battute di caccia per avere carne fresca da colobi, cercopitechi e piccoli ungulati con contorno di insetti, rettili e uova raccolti durante il foraggiamento.

 

  
Venendo ai nostri diretti antenati, l’Homo Neanderthalensis e l’Homo Sapiens, le evidenze di paleonutrizione derivate dall’analisi di focolari, di resti di macellazione di animali negli insediamenti, di residui alimentari rinvenuti nelle suppellettili e di cibi posti nelle sepolture ci consegnano un quadro di speci onnivore. I Neanderthalensis avevano un’alimentazione più marcatamente onnivora, perché colonizzatori di ambienti glaciali poveri di vegetali (disponibilità di pesce, foche…), mentre i Sapiens, al contrario, mostravano un’ecologia alimentare più orientata al consumo di vegetali (colonizzarono il Nord Europa), con uno spiccato orientamento verso la carne in inverno, quando i vegetali scarseggiavano (Masin). Anche se in percentuali diverse in rapporto alla stagionalità e alla disponibilità alimentare i nostri antenati erano inequivocabilmente onnivori (Masin).

 

Cosa mangiava un uomo Sapiens Sapiens prima della Rivoluzione Agricola?

Vediamo i risultati di una metanalisi delle evidenze paleonutrizionali delle popolazioni umane del tardo Paleolitico:

 

Macronutrienti

Grammi al giorno

Proteine

250

Lipidi

70

Carboidrati

340

Fibre

150

 

La storia resta dalla parte dell’onnivoria, anche se c’è ancora uno sbilanciamento, subordinato alla disponibilità ambientale, verso le proteine.

SCIMPANZÉ, QUEL BOIA CHE HA INFRANTO IL SOGNO VEGANO

 
Tra le supercazzole sgranate da un rosario liso, quello della mitologia vegana, c'era la versione pucciosa e pacifica dello scimpanzé frugivoro. Un falso mito, quello del mite primate, da usare come palla da cannone contro gli onnivori. Poi si è scoperto che il nostro cugino era anche carnivoro. Poi si è rivelato talmente famelico di carne da arrivare a decretare la quasi estinzione di una popolazione ugandese di colobi rossi, una famiglia di piccole scimmie. 

 

Article

International Journal of Primatology

August 2015, Volume 36, Issue 4, pp 728-748

First online: 19 July 2015

Hunting and Prey Switching by Chimpanzees (Pan troglodytes schweinfurthii) at Ngogo

  

E DOPO LA RIVOLUZIONE AGRICOLA?

 

 

Diecimila anni fa, con l’avvento delle coltivazioni il regime alimentare umano è virato verso un maggiore consumo di cereali, ma senza abbandonare la razione proteica che poteva derivare dalla carne degli animali domestici o dalla selvaggina, per quanto impoverita dal prelievo che insisteva sempre sullo stesso territorio (la popolazione era stanziale).

L'ARGOMENTO DELLA LUNGHEZZA DELL'INTESTINO

Tra le argomentazioni portate avanti dai vegani per giustificare la presunta vocazione umana al veganesimo c'è quella relativa alla lunghezza dell'intestino. Tipico, dicono loro, dei ruminanti e degli animali ad esclusiva alimentazione vegetale. In due brevi punti:
1. Vero, abbiamo mantenuto un intestino lungo, ma per un semplice motivo spiegato dall'evoluzione. E che va in direzione opposta al veganesimo. L'intestino è rimasto lungo per il principio della "conservazione della funzione": non avendo vantaggi o svantaggi evolutivi sarebbe stato inutile, anzi, dispendioso privilegiare individui con un intestino corto. Accorciare l’intestino avrebbe solo richiesto una spesa inutile di risorse energetiche
2. Lunghezza e profondità dei ciechi intestinali. L'argomento più robusto. I ciechi sono “sacche” colonizzate da protozoi e batteri in grado di digerire la cellulosa. Molto sviluppati nei ruminanti, poco nell’uomo (sia in lunghezza che in profondità) e nei quali la flora batterica deputata alla digestione della cellulosa è spesso inattiva. I ciechi, oltre ad essere pigri, corti e poco profondi sono anche inclini all’infiammazione (vedi appendice vermiforme). Nella figura, sono messe a confronto le strutture cecali di mammiferi erbivori e l'uomo. La differenza è evidente.
Tutto questo è segnale di una scarsa propensione a digerire le fibre, segno di un intestino non certo votato al veganesimo.

  

CARNE, EVOLUZIONE DELL’INTELLIGENZA

E AFFERMAZIONE DEMOGRAFICA

 

 

Pare che la diffusione demografica dell’uomo preistorico e lo sviluppo dell’intelligenza siano strettamente correlati al consumo di carne. Perché? I ricercatori della Lund Univerity hanno messo a confronto i tempi di allattamento di settanta specie di mammiferi con diversi regimi alimentari. I risultati pubblicati su PLOS One hanno concluso che i tempi dello svezzamento si sono accorciati nel corso dell’evoluzione umana grazie a una dieta sempre più ricca di carne. Cosa c’entra questo con lo sviluppo demografico? Il consumo di carne abbrevia il tempo dell’allattamento, riducendo il tempo tra le nascite. Uno svezzamento precoce dettato dall’introduzione della carne rende possibili più parti. Noi abbiamo dimezzato i tempi di allattamento rispetto ai nostri cugini scimpanzé. Inoltre viviamo il doppio di loro. Ecco spiegato il nostro peculiare successo demografico. Quanto all’intelligenza? Anche in questo caso il consumo di carne ha giocato un ruolo da protagonista. La caccia è stata una conquista decisiva in tal senso per due motivi:

a)    il cervello è cresciuto grazie all’assunzione di proteine animali

b)    la pianificazione delle strategie di caccia ha stimolato ulteriormente l’aumento dell’intelligenza

 

Il consumo di carne correlato con lo sviluppo del cervello era già stato anticipato da una review pubblicata su J Nutr., nel 2003

 

UN TERZO ED ULTIMO APPROCCIO

è l’esame critico delle ecologie alimentari 

delle popolazioni umane attualmente esistenti

 

 

Cosa dedurre da ciò che si mangia nel mondo?

Ebbene, sebbene ci siano diverse popolazioni che conducono un regime alimentare vegetariano, sono molto rare quelle che escludono completamente le proteine animali.

 

 
L’ALTRA SPONDA: LE DIETE IPERPROTEICHE

 

 

Il ruolo cruciale svolto dalla carne nel corso dell’evoluzione e l’acritica nostalgia per i “tempi d’oro” del passato remoto ha offerto la sponda ai sostenitori delle diete iperproteiche, foraggiate da un’estremismo quasi pari alle vegane. Le diete iperproteiche, a differenza delle vegane, hanno il culto della carne e del pesce e mostrano la faccia cattiva ai farinacei come pane e pasta. Della pervicace, quanto dannosa, messa al bando della pasta abbiamo già parlato negli articoli “Un viaggio nelle proteine” e “Le diete drastiche: perché non funzionano”. Vegana e iperproteica sono compagne di viaggio in quella strada affollata di diete da cronicario sistematicamente smentite dalla scienza. Le diete iperproteiche e le diete vegane sono dei trompe l’oeil, illusioni ottiche che stupiscono per i loro artefatti orizzonti di salute e dimagrimento. Mentre meriterebbero la livrea di maggiordomi al servizio del business (diete iperproteiche) e della cieca ideologia parascientifica (diete vegane).

  

IL CONSUMO DI CARNE ACCORCIA LA VITA?

 

 

Uno dei cavalli di battaglia dei vegani è il j’accuse alla braciola, un accanimento suffragato da studi interpretati “ad veganum”. Basta analizzare i numeri e le conclusioni degli studi perché il fronte vegano mostri il lato debole. Ad un’osservazione con la lente della ragione e non con quella dell’emozione, emerge che, come sempre, vale il principio della quantità e il contesto. Gli studi ci dicono che se l’estremismo carnivoro produce un documentato aumento di tumori e malattie cardiovascolari, ancor più accentuato se associato al sovrappeso, la moderazione di carne non produce tagli sulla durata e sulla qualità della vita. I grassi animali sono determinanti sulla salute solo se consumati in grosse quantità, oppure sono un’aggravante se si è già in forte sovrappeso. Ma solo perchè il loro abuso peggiora il sovrappeso con tutti i rischi che questo stato ponderale comporta.  E’ l’obesità ad essere il vero killer, non l’uovo alla coque o la fettina di pollo. L’obeso avrebbe i giorni contati anche se abusasse di pasta, anziché di carne.

 

  1. Come già descritto sopra, abbandonare la carne in nome del veganesimo può produrre una diminuzione dei tumori al colon e al retto solo se si è già sovrappeso. Non sono, dunque, i grassi saturi della carne a produrre i danni, ma un loro abuso. Un vegano e un onnivoro normopeso hanno gli stessi fattori di rischio tumorale. Conclusione ribadita dallo studio condotto dalla Harvard School of Public Health citato sopra

 

  1. D’altro canto, l’eccesso di carne ha dimostrato i suoi effetti collaterali.

“Annals of Internal Medicine” ha esaminato le condizioni di salute di 130.000 persone. E’ emerso che la percentuale di decessi fra le persone che consumano pochi carboidrati, in nome delle proteine animali, sale del 12%.

Il rapporto fra alimentazione e malattia è comunque strettamente correlato anche al tipo di proteine scelte. Chi abbandona la pasta per la carne ha il 14% in più di possibilità di morire d’infarto e il 28% di ammalarsi di tumore.

Uno studio pubblicato nel 2011 della Harvard Medical School ha dimostrato che un'alimentazione povera in pasta e farinacei contribuisce ad ostruire le arterie aumentando il rischio di infarti e ictus.

Infine, recentemente è stato pubblicato su Stroke (2011) un lavoro dove si è messo in relazione il consumo di carne rossa, segnalato dagli stessi partecipanti allo studio, con l’incidenza di ictus (infarto cerebrale, emorragia intracerebrale o sub aracnoidea, ictus non specificato) nel corso di un follow up di 10.4 anni. Sono state seguite 34.670 donne facenti parte della Swedish Mammography Cohort. I risultati dello studio hanno evidenziato che le donne che dichiaravano un consumo di carne rossa > 102 g/die avevano un rischio maggiore (42%) di sviluppare un infarto cerebrale rispetto alle donne che dichiaravano un consumo < 25 g/die.

MITI VEGANI

LE FIBRE PROTEGGONO DAL TUMORE AL COLON RETTO…?

Tra i tradizionali capisaldi della campagna di reclutamento vegana si avanza spesso un argomento affermato con la perentorietà spavalda della certezza assoluta: chi consuma vegetali si protegge dal rischio del tumore al colon retto. Una correlazione che ha goduto il benestare di numerosi studi, anche importanti. Come il celebre  studio EPIC di tipo prospettico e di coorte che ha coinvolto oltre 520.000 donne e uomini di età compresa tra 39 e 69 anni. Difficile da contestare. Fino a pochi anni fa.

Quando delle ricerche più accurate hanno ridimensionato questa certezza oramai iscritta nelle tavole delle leggi vegane.

Cosa ha confuso i ricercatori che hanno affermato che mangiare più frutta e verdura protegge l’intestino dal tumore al colon retto? Per esempio la ricerca concentrata sul colpevole che vogliamo. Escludendo tutti gli altri sospetti. Lo slogan “il vegano ti dà una mano (contro il cancro)” è brandito come una spada dai vegani, ma si dissolve quando i ricercatori inseriscono nello studio anche ALTRI FATTORI DI RISCHIO DIETETICI, come riporta l’analisi combinata degli studi sul cancro colon rettale pubblicata su JAMA nel 2005 e condotta su 725.628 persone.

C’è di più. Una revisione di studi e una metanalisi pubblicate sull’ European Journal of Cancer nel 2010 ha voluto fare le pulci alla “assodata” correlazione inversa tra consumo di vegetali e incidenza di  alcune forme di tumore, come quello orofaringeo, all’esofago, al polmone, allo stomaco e il famigerato cancro al colon retto. I ricercatori hanno quantificato il risparmio di tumori se una politica nutrizionale spingesse gli abitanti di Francia, Germania, Olanda, Spagna e Svezia a consumare quei 500 grammi di frutta e verdura raccomandati ogni giorno. I risultati? Molto modesti. Sui tumori previsti entro il 2050, solo lo 0,19% (398 casi su centinaia di migliaia in 5 nazioni) potrebbero essere prevenuti a patto che si consumino 500 gr al giorno di frutta e verdura.

Ci sono altri fattori da considerare? Probabile. 

Magari anche l’attività fa la sua parte nella prevenzione del tumore, pur se l’ipotesi non è ancora accertata, come ho scritto nell’articolo http://www.nutrizionesport.com/attivit%E0%20fisica,%20salute%20e%20invecchiamento.html




QUALCHE COSA C’É. MA IN CHE MISURA? E CHI NE TRAE VANTAGGIO?

La più recente meta analisi di studi prospettici pubblicata su Gastroenterology nel 2011 ha concluso tiepidamente quanto alla possibile correlazione tra consumo di frutta e verdura e protezione dal tumore colon rettale: “c’è una debole ma statisticamente significativa associazione inversa non lineare tra consumo di frutta e ortaggi e rischio di cancro al colon retto”. E in questo tiepido riconoscimento, l’effetto maggiore si è osservato in chi partiva da un modesto livello di consumo di vegetali. Niente trippa per gatti se già siete buoni consumatori di vegetali.

CONCLUSIONE

Fatte salve le indubbie proprietà costipanti e lassative delle fibre, compreso il loro alleggerimento dal carico di zuccheri e grassi in abbinamento ad un pasto, ALLA LUCE DELLE NUOVE RICERCHE BISOGNA RIMODULARE I FACILI ENTUSIASMI DI CERTE MODE ALIMENTARI che avevano attribuito alle fibre vegetali un ruolo esageratamente protettivo, taumaturgico direi, nei confronti di seri pericoli come quelli tumorali. Soprattutto nei confronti del tumore al colon retto. Non pensiamo di scampare da questo tipo di tumore semplicemente mangiando frutta e verdura. Inoltre non dimentichiamo che troppe fibre interferiscono con l’assorbimento di preziosi minerali, mettendoci a rischio di carenza e versando altri problemi nel piatto della salute.  

Anche per le tanto celebrate frutta e verdura vale il principio della modica quantità. Quanto? In generale ci si attesta su 5 porzioni giornaliere tra frutta e verdura. Oppure 500 gr al giorno. Con tempi e dosi che devono essere valutati soggettivamente.

OLIMPIADI DELLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE:

LA DIETA VEGANA SOLO QUINTA

 

I sermoni paroliberi del VEGANESIMO spinto hanno sempre cercato di ammaliare la platea degli ingenui e dei fideisti servendo abbondanti porzioni di pseudoscienza. Vedi i deliri psichedelici sulla fisiologia e anatomia “vegane” dell’uomo. Il veganesimo ha sparso parole e idee di indeglutibile consistenza. Al punto da allappare i neuroni. Scivolati sulla superficie avvilente di argomenti in disarmo scientifico, un’altra breccia si fa largo nel muro ideologico del veganesimo: LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, tema relegato da oggi nello scaffale dell’autogol. Sì, perché questo era uno dei cavalli di battaglia dei palafrenieri della soia: il veganesimo salva l’ambiente. Dunque, se avete a cuore le foreste dovete tutti ammainare la bandiera del cotechino e alzare quella vergata “GO VEGAN!”, ci facevano capire gli alfieri dell’alfa, ma privativo. Già in tempi non sospetti era intuibile che se il mondo intero si fosse consegnato al culto del cetriolo, rinunciando in toto ai prodotti animali, sarebbe stata un’apocalisse del bio-universo: avremmo dovuto coltivare anche il giardino di casa per avere tutti un po’ di erba d’orzo a pranzo e ravioli al brasato di seitan a cena (senza glutine, mi raccomando!)

Oggi una ricerca assesta un colpo fatale al format della semplificazione vegana.

Sono stati elaborati modelli di simulazione biofisica per mettere a confronto dieci stili alimentari, in una sorta di OLIMPIADE DELLA SOSTENIBILITÀ: a parità di superficie agricola coltivata l’oro va a chi mangia frutta, verdura e poca carne, mentre gli oltranzisti del tofu si devono accontentare di un misero quinto posto in classifica

 

      Il confronto è stato fatto tra:

  • Una dieta VEGANA
  • Due diete VEGETARIANE (latto-vegetariana e latto-ovo vegetariana)
  • Quattro diete ONNIVORE
  • Una dieta POVERA DI GRASSI E ZUCCHERI
  • La DIETA tipica AMERICANA

 

La dieta vegana riesce a nutrire meno persone di due tipi di diete vegetariane (latto-vegetariana e latto-ovo vegetariana) e di due tipi di alimentazioni onnivore. Se l’agricoltura americana fosse totalmente dedicata alla dieta vegana potrebbe sfamare circa 735 milioni di persone, mentre adottando una dieta vegetariana con latticini si salirebbe a 807 milioni.


PERCHÉ UN VEGANESIMO DURO E PURO È NEMICO DELL’AMBIENTE?

 

  1. il terreno a pascolo spesso è inadatto per coltivare frumento, ma ideale per allevare mucche e pecore
  2. La coltivazione di vegetali, frutta e noci sottrae terreno ai cereali e frumento, dai quali si traggono anche più raccolti l’anno, destinati, sia al consumo umano, sia all’allevamento animale
  3. Tra le diete esaminate, la vegana è quella che utilizza in misura minore le erbacee perenni per i foraggi e spreca, quindi, la possibilità di produrre grandi quantità di cibo

 

Smettiamola di scolpire momenti di sciatteria consegnandoci a modelli alimentari che sono un vero e proprio surrogato della dimensione religiosa. Non lasciamo la mente a maggese e usiamo gli strumenti a nostra disposizione per dividere modernità e grottesco.

DAI VEGANI AI VEGETARIANI

 

 

Abbiamo già sottolineato come la scienza abbia sdoganato la dieta vegetariana, a patto che sia ben pianificata. Vediamo quali sono le risultanze degli studi che hanno correlato la compatibilità della dieta vegetariana con lo sport e l’integrazione.

 

VEGETARIANI E SPORT

 

 

Una review pubblicata su Sports Medicine nel 2006 ha dato il via libera alla dieta vegetariana anche tra gli atleti.

 

VEGETARIANI, ALLENAMENTO CON I PESI E CREATINA

 

 

Burke e Tarnopolsky, in uno studio pubblicato nel 2003 su Medicine and Science in Sports and Exercise, hanno riportato gli studi di una supplementazione di creatina in due gruppi di soggetti che si allenavano con i pesi. Un gruppo di vegetariani e uno di onnivori.

Il gruppo di vegetariani, a causa del basso tasso di creatina nei muscoli per il ridotto consumo di proteine animali, ha dimostrato maggiore sensibilità all’integrazione di creatina. Via libera alla creatina per i vegetariani.

 

 
 

CONCLUSIONE

 

 

All’esame della paleo nutrizione, dell’ecologia alimentare e della medicina la dieta vegana è una scelta perdente. Non per motivi ideologici, ma per pura sopravvivenza. Abbiamo visto che facendo un'analisi comparativa delle alimentazioni passate e presenti della storia dell'umanità è risultato che la nostra specie appare come un primate genericamente onnivoro con una specializzazione verso il consumo di frutta, noci e granaglie e un consumo di proteine animali preponderante nell'età infantile. Sotto il profilo medico  l'alimentazione vegetariana ben bilanciata  è accettata tra gli adulti, ma è da pianificare con cura nei bambini. Bocciata tout court, invece, la dieta vegana che si è dimostrata priva di alcun senso salutistico (assenza di vit B12, eccesso di fitati, ossalati, fruttosio, pochi acidi grassi essenziali, poco ferro biodisponibile, ostacoli nell’assorbimento di minerali importanti...). Salvo il caso di una dieta vegana unita ad integratori e cibi fortificati. La domanda è: se una dieta necessita di integratori per proteggerci dalle sue carenze, che senso ha?

In ogni caso, premessa la fattibilità di una dieta vegana integrata, resta immotivata e di pura ispirazione ideologica la guerra alle proteine animali. Onnivori e vegani (ben integrati) potrebbero convivere pacificamente, nel rispetto delle proprie scelte alimentari.

Alla stessa stregua un eccesso di proteine non giova certo alla salute e alle aspettative di vita. Sembra banale, ma l’epilogo è sempre lo stesso: mangiare di tutto, con moderazione. Senza estremismi, senza mettere al bando intere categorie di nutrienti (patologie escluse).  E fare attività fisica…

 

 

 

BIBLIOGRAFIA:

  

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           Vegetarian diets : nutritional considerations for athletes

           Venderley AM , Campbell WW 

 

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           Vegetarian diets: what do we know of their effects on common chronic diseases?

             Fraser GE.

            Considerations in planning vegan diets: infants

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           The critical role played by animal source foods in human (Homo) evolution.

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·        Feeding and nutrition of infants and young children: guidelines for the WHO european region, with emphasis on the Soviet former countries

 

 

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            Consequences of exclusive breast-feeding in vegan mother newborn--case report.

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  • Burke, Tarnopolsky et al. Medicine and Science in Sports and Exercise,2003

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  • R.Albanesi "Il manuale completo dell'alimentazione", 2004-Thea edizioni 

 

  • Katch, Katch & Mc Ardle"Alimentazione nello sport", casa editrice Ambrosiana

 

  • Articoli di Simone Masin (Università di Milano Bicocca, Dipartimento Scienze dell’Ambiente e del Territorio) pubblicati su “Fitness & Sport”

 

 

 

  • Quinlivan EP and others. Importance of both folic acid and vitamin B12 in reduction of risk of vascular disease. Lancet 359:227-228, 2002

 

  • JAMA, December 14, 2005, Vol 294, No. 22 Dietary Fiber Intake and Risk of Colorectal Cancer. A Pooled Analysis of Prospective Cohort Studies. Yikyung Park, et al.

  • GASTROENTEROLOGY. 2011 Jul;141(1):106-18. doi: 10.1053/j.gastro.2011.04.013. Epub 2011 Apr 16. Nonlinear reduction in risk for colorectal cancer by fruit and vegetable intake based on meta-analysis of prospective studies. Aune D, Lau R, Chan DS, Vieira R, Greenwood DC, Kampman E, Norat T.

  • PUBLIC HEALTH NUTR. 2006 Feb;9(1A):124-6. The European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition (EPIC)

  • EUR J CANCER. 2010 Sep;46(14):2563-80. doi: 10.1016/j.ejca.2010.07.026. Increased consumption of fruit and vegetables and future cancer incidence in selected European countries. Soerjomataram I, Oomen D, Lemmens V, Oenema A, Benetou V, Trichopoulou A, Coebergh JW, Barendregt J, de Vries E.






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