ALIMENTAZIONE SPORT
DIMAGRIMENTO
  a cura di Orazio Paternò
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CELLULITE: RIMEDI UN TANTO AL BAR

 

 

 

Leggere i format preconfezionati per combattere la cellulite riesce solo a sgualcire il buonumore. Perché, a distanza di decenni, tutto ruota ancora attorno a un’unica nota tematica: l’accanimento “terapeutico” sulle gambe con l’attività fisica e la ricerca ossessiva dell’eliminazione dell’acqua con l’alimentazione/integrazione. Nel tempo si sono prodotti per partenogenesi una serie di sanfedismi sul potere taumaturgico di questo o quell’alimento, dalle bacche esotiche  dal fascino a presa rapida fino al più prosaico nonché classico alimento/tisana ad effetto diuretico.

È inutile ripetere il solito pistolotto su che cosa è la CELLULITE sotto il profilo fisiologico. Sappiamo che è quel luogo dove si perde la geografia epidermica piana e vellutata in nome di un paesaggio ruvido e accidentato. Cosce e glutei diventano loculi di grasso senza lucernari. In questo complesso paesaggio lunare si sono sempre affastellati i propalatori del restyling gluteo-femorale millantando soluzioni che,  nel migliore dei casi, hanno avuto un effetto drenante solo sul portafogli. Nel peggiore, hanno sferrato sulle già martoriate cosce gli ultimi e fatali pugni di desolazione.

Vediamo come…

 

 

 

ALLENAMENTO

Dalla scheda parte il primo segnale di rigor mortis scientifico. La fanno semplice: se il problema è sulle gambe, la soluzione deve orbitare solo attorno a esse. Con un approccio quantitativo. È  così che, nel 2016, ragionano ancora quelli avvezzi all’ammicco dell’illusione e all’ammacco della ragione.

Niente che riconduca alla valutazione della persona: lo stato di idratazione globale, la corretta distribuzione di questa acqua nei comparti intra- ed extracellulare, la massa magra, il metabolismo basale calcolato sulla massa magra e non sugli influssi astrali, il livello di gestione del glicogeno, compromesso in una donna, per esempio, che ha immolato chili di muscoli sull’altare di diete dagli inutili accenti ascetici.

In generale, la cellulite è figlia di un carico di ritenzione (da infiammazione, da stress, da ormoni, da cattiva alimentazione, da indolenza divanesca, da genetica…o tutto assieme) che con il suo cronico insulto meccanico ha obbligato le cellule di grasso (adipociti) a formare delle piccole compagini protette da tessuto connettivo (effetto “buccia”).

  

 

La moda di oggi di sottoporre anche soggetti a rischio cellulite (già in forte ritenzione) a circuiti di esercizi con ripetizioni infinite, estenuanti e a recupero zero non farà altro che rinfocolare lo stato infiammatorio (si produce acido lattico a oltranza senza l’appello del recupero) delle gambe.  Questa sassaiola di eventi infiammatori evocherà da parte del comparto extracellulare la supplica di altra acqua che si sommerà a quella già presente e già in eccesso. Alimentando la filiera della cellulite: infiammazione-ritenzione - insulto meccanico - fibrotizzazione del tessuto adiposo. 

 

  
Mentre la soluzione alloggia su un altro pianeta, dove il lavoro sulle gambe spiega la sua vela verso un lavoro limitato ma pesante, con ampi recuperi e con l’acido lattico attaccato a un guinzaglio corto.

 

 

E IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO…?

 

 

 

La promessa di dimagrire solo tra cosce e glutei (o sulla pancia) è uno di quei mantra ebbri di becerume che ancora affligge come un virus  la psiche collettiva.

Chi confeziona le facili ricette del dimagrimento un-tanto-al-chilo ignora, o finge di ignorare che:

 

1.      i depositi di grasso viscerale hanno il maggior tasso di turnover, cioè si perdono prima

2.      i depositi di grasso sottocutaneo a livello addominale (più superficiale rispetto al viscerale) hanno un tasso intermedio

3.      i depositi sottocutanei della zona gluteo-femorale subiscono un ricambio relativamente più lento; i suoi adipociti (cellule di grasso) sono più piccoli, ma più stabili

4.      il grasso viscerale rilascia più facilmente acidi grassi nel sangue rispetto a quello sottocutaneo perché meno sensibile all’attività insulinica e più “accogliente” verso gli ormoni brucia grasso (catecolamine)

5.      il grasso sottocutaneo di cosce e glutei femminili è più ricco di enzima LPL, quello incaricato di fare “scorta” di grasso

6.      di contro, è povero di HPL, l’enzima incaricato di “estrarre” gli acidi grassi dalla cellula adiposa

7.      sempre in questa zona strategica femminile, ci sono pochi recettori-beta sensibili agli ormoni brucia-grasso. I beta-recettori affollano maggiormente il grasso viscerale

8.      L’enzima LPL è incrementato dagli estrogeni femminili

 

La promessa di un allenamento “mirato” sul grasso gluteo-femorale risulta dunque un concetto poco deglutibile. La donna ha evoluto un efficiente sistema di difesa nei confronti di quella preziosa ridotta di grasso gluteo-femorale che, in regime di carestia, servirebbe come “benzina di riserva” per portare avanti una gravidanza con successo. È un meccanismo selezionato e rodato nel corso dell’evoluzione e che ha marginalizzato le sdutte silhouette, tanto carine (non sempre), quanto incapaci di far fronte alla fame.

 

 

 

IL DIMAGRIMENTO LOCALIZZATO ha dimostrato la sua vacuità già nel 1984 grazie a una nota ricerca di Katch et al. I soggetti che vennero sottoposti a un allenamento “mirato” sugli addominali per circa un mese dimostrarono un leggero dimagrimento disposto su diverse regioni del corpo, senza alcuna preferenza per il grasso addominale

 

Più recentemente, la ricerca di Vispute et al. (2011) ha riprodotto un protocollo simile. I risultati hanno dimostrato di nuovo quanto il dimagrimento localizzato (in questi casi sugli addominali) è solo un universo di seduzioni nelle quali è facile restare impigliati: gli esercizi solo sugli addominali non hanno portato ad alterazioni significative del peso corporeo, della percentuale di grasso corporeo, della percentuale di grasso addominale, della circonferenza addominale, della plica addominale e sovrailiaca. Il gruppo allenato (c’era, come da ortodossia scientifica, un gruppo di controllo) ha solo guadagnato una maggiore resistenza alla fatica e la capacità di eseguire più ripetizioni.

Stesso copione per i giocatori di tennis: alla luce delle analisi hanno dimostrato di sviluppare maggiormente i muscoli del braccio dominante, quello che impugna la racchetta, mentre  il grasso del braccio dominante NON era meno di quello non dominante

 

Nel 2007 Kostek et al. hanno studiato gli effetti dell’allenamento solo sul braccio dominante in 104 soggetti (45 uomini e 59 donne). Il grasso sottocutaneo è stato misurato mediante risonanza magnetica e plicometro. Il grasso è risultato diminuito solo con la misurazione del plicometro, mentre la risonanza ha rivelato una situazione meno incoraggiante: nessun cambiamento tra braccio dominante allenato e braccio non dominante non allenato. Perché questi risultati contraddittori tra le due misurazioni, plicometro e risonanza? Ce lo spiega Claudio Suardi, Direttore Tecnico ISSA Europe. “Quando il  muscolo scheletrico è sottoposto a un processo di ipertrofia occupa uno spazio maggiore, comprime lo spazio extracellulare tra le cellule adipose contro la pelle fino a che questa si adatta, e il muscolo più voluminoso è più facilmente visibile attraverso lo strato di grasso. Ciò può dare l’illusione che il grasso venga ridotto quando non lo è. Se la quantità totale di grasso sottocutaneo nell’arto allenato (gamba o braccio) rimane inalterata dopo il programma di allenamento (il diametro degli adipociti non cambia), ma di fatto occupa meno spazio a causa dell’ipertrofia muscolare, questo risulterebbe in un decremento del grasso sottocutaneo tramite una valutazione plicometrica, ma non con altri metodi più precisi come la risonanza magnetica”

 

 

ALIMENTAZIONE

Se si distillasse il peggio raccolto qua e là tra le strategie nutrizionali di “attacco alla cellulite”

si potrebbe inaugurare un corso di antropologia del regresso presso il Circolo di Psicomagia.

In ordine di frattaglie culturali sparse, troviamo:

 

  1. acqua tiepida e limone da bere appena alzati (a tal proposito, allego scheda tecnica anti-bufala del collega Stefano Zambelli)

 

 

 

 

  1. Bacche di Goji (rimando al mio articolo: http://www.nutrizionesport.com/esotico.html)
  2. The verde
  3. Estratto di mirtillo
  4. Carboidrati solo Bio ed esclusivamente importati dal regno dell’esotico – antico – naturale: quinoa/farro/kamut/orzo/amaranto/grano saraceno. La pasta in castigo. Contiene il “cattivo” glutine (come  d’altra parte anche grano saraceno, amaranto, quinoa e chia). E poi senza un nemico ci annoiavamo
  5. In castigo anche le proteine animali, soppiantate dai succedanei vegetali quali totem inappellabili di immortalità: tofu, tempeh e hamburger vegetali (vedi più in basso alla voce: soia)
  6. Centella e tisane varie da ascrivere alla voce: diuretici (leggi anche: malcelata furbizia )
  7. Consacrare la propria esistenza alla sagra della soia (tofu, tempeh e latte rigorosamente di soia). Sì, quella soia che ha un effetto estroginico (leggi anche: ritenzione e cellulite)
  8. Acque povere di sodio

 

 

Insomma, sulla tavola la cellulite dovrebbe capitolare sotto i colpi di una compagine di leggende già ben rodate nel campo dell’alternativo e del vegano. Molti di questi miti (the, centella, tisane varie, acque povere di sodio…) fanno capo a un concetto che sopravvive con tutto il suo carico di modestia: combattere la ritenzione con la diuresi, cioè punteggiando la giornata con infinite processioni in bagno.

Si parte da una verità: la cellulite prende l’abbrivio da un problema di ritenzione. Ma poi le maglie della semplificazione lasciano agevolmente passare tutti quei tasselli che compongono la complessità della ritenzione: ormoni, permeabilità dei capillari, genetica, sedentarietà, fumo, alcol, cattiva alimentazione (magari ipersonica) e perdita di massa muscolare. Da affrontare di petto, quest’ultima, per definire un orizzonte credibile nel trattamento della cellulite.

 

 

 

RITENZIONE, CHE FARE?

Intanto bisogna capire se quell’acqua sta lì semplicemente perché si mangia troppo sale (anche quello rosa dell’Himalaya), perché si recupera troppo poco tra gli allenamenti oppure per stress e perdita di massa muscolare. Gli strumenti per valutare caso per caso li abbiamo. E non è questa la sede per una prolusione sulla valutazione della composizione corporea. Mi preme, invece, spendere due righe sul caso di ritenzione più frequente: stress e perdita di massa muscolare. È anche il caso più pernicioso. Proprio per questo non deve essere affrontato secondo il vecchio standard della diuresi a tutti i costi. Perché quel bivacco di acqua extracellulare (le cellule muscolari che la contenevano si stanno consumando e il loro contenuto esonda) ha un preciso ruolo antinfiammatorio (stress e perdita di muscoli hanno una base infiammatoria). Qualunque strategia si persegua per perdere acqua, quella poca rimasta tornerà comunque ad occupare gli spazi infiammati. Mi disidraterò globalmente, mentre le “gocce” residue saranno sempre dirottate verso l’incendio, cioè verso l’infiammazione perimetrata tra cosce e glutei. Se alla disidratazione forzata si somma un allenamento militaresco sulle gambe, l’infiammazione, già presente, verrà sovra-alimentata. Letteralmente pioverà sul bagnato, le gambe appariranno sempre più gonfie non certo per un guadagno spropositato di massa muscolare, quanto per degli spazi extracellulari che stanno diventando dei veri e propri gavettoni d’acqua. Niente di irrecuperabile, intendiamoci. Almeno finché non si archivia il cialtronismo dei cibi, delle bevande e degli integratori ad effetto diuretico (somministrati a prescindere, senza sapere se possono essere utili o meno) e non si ricostruiscono a monte i contenitori di acqua, cioè le cellule muscolari. Con carichi e tempi di recupero adeguati. Uscendo dall’idea del trattamento a cottimo.

 

 

 

 BIBLIOGRAFIA

 

Alimentazione & Composizione Corporea 2.0, Edizioni Sporting Club Leonardo da Vinci – 2015

Fitness&Sport, n. 4 anno 2016


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